OMERO

La vita


Sulla vita di Omero, il massimo poeta epico greco, autore, secondo la tradizione, dell'Iliade e dell' Odissea non si sa nulla di sicuro. Il suo vero nome sarebbe stato Melesigene e Omero non sarebbe che un soprannome (forse ostaggio). Una leggenda lo dipingeva cieco, com'erano talora i rapsodi che cantavano le gesta degli eroi alle corti principesche.

Nell'antichità  sette città  (Chio, Smirne, Atene, Argo, Salamina, Rodi e Colofone) rivendicavano per se i natali del grande poeta. Gli studi sulle opere, però, fanno pensare ad un'origine ionica e quindi la città  natale dovrebbe essere Chio o Smirne. A questa considerazione si è giunti per mezzo di elementi interni alle opere, come alcune caratteristiche linguistiche o il rispetto verso determinate famiglie. Certo è che la patria di Omero è da localizzarsi in Asia Minore.

Molto discussa, in passato, è stata anche la cronologia, che oscillava di ben cinque secoli, dai tempi della guerra di Troia (sec. XII) al secolo VII a.C.. Oggi si propende a datare i due poemi omerici verso la metà  del secolo VIII a.C.. Oltre all'Iliade, che narra le vicende conclusive della guerra di Troia con la distruzione della città , e all'Odissea, che narra il ritorno in patria da Troia di uno degli eroi greci, Ulisse (Odisseo), e la difficile riconquista del suo regno a Itaca, la tradizione antica attribuiva a Omero la composizione del bizzarro poemetto "Margite", oggi perduto e della "Batracomiomachia", altro poemetto parodistico sulla battaglia dei topi e delle rane.

Ad Omero, infine, erano attribuiti gli "Inni omerici", un gruppo di 33 inni a varie divinità .




Busto di Omero

Linguaggio e "questione omerica"


Il mondo dei due poemi omerici è abbastanza eterogeneo: in essi si trovano elementi arcaici, che ci fanno risalire alla civiltà  micenea (Età  del Bronzo), e altri più recenti dell'Età  del Ferro; le istituzioni politiche e la vita, soprattutto dell'Odissea, rispecchiano evidentemente un assetto sociale assai posteriore, vicino o contemporaneo dell'autore, che certamente viene alla fine e non all'inizio di una lunga tradizione di racconti epici, durata almeno per cinque secoli prima di lui, quelli del cosiddetto "medioevo ellenico", con i periodi cretese, acheo e dorico. Fiorirono, allora, alle corti o in pubbliche assemblee gli aedi, inventori o "cantori" di leggende eroiche, e i rapsodi, "cucitori" di carmi già  compiuti in poemi più ampi. Questa poesia orale sarebbe la parte rielaborata o addirittura l'antecedente immediato dei poemi omerici; essa, però, non esclude anche la possibilità  di redazioni scritte fino in età  antichissima. I segni più evidenti della natura professionale e orale sono: le ripetizioni di versi o gruppi di versi per descrivere a distanza il medesimo avvenimento; l'uso di epiteti fissi per certi personaggi ("il pie' veloce Achille", "il divino Odisseo"...) o cose ("la terra nera", "il mare violetto"...); incongruenze o imperfetta riunione delle parti; errori metrici o formulari. Anche la lingua usata nei due poemi è artificiosa e composita: presenta un amalgama di elementi ionici (prevalenti) ed eolici, con qualche intrusione posteriore anche di attico. L'eolico sarebbe dovuto, secondo alcuni, alle precedenti canzoni di gesta fiorite in quel dialetto.
In ogni caso quella omerica è una lingua d'arte assai flessibile, ricca di risorse espressive e musicali, ben conveniente alle misure e alla necessaria mobilità  dell'esametro. Il valore del contenuto dell'epica omerica va al di là  di quello puro del documento letterario e linguistico. Essa ci offre un quadro etico-religioso, testimone fondamentale di uno stadio della civiltà  europea, pur con variazioni marginali tra i due poemi (eticamente più progredita l'Odissea). Gli dei, con a capo Zeus, sono rappresentati antropomorficamente; hanno gli stessi vizi e le stesse virtù degli esseri umani; vivono passioni tipiche degli uomini; in più possiedono caratteri soprannaturali e d'immortalità . Essi, poi, non sono interamente onnipotenti, ma sono sovrastati da un Fato che è superiore a tutti, che non può essere in alcun modo modificato ed al quale nessuno può sottrarsi.
L'uomo è in vario rapporto di dipendenza dagli dei, che cerca di placare e propiziare; la sua vita sentimentale è assai ricca, più spesso irrazionale e impulsiva, fondata sui principi fondamentali della famiglia, dell'onore, della gloria, del valore, dell'ospitalità , della protezione accordata ai deboli.
Il regime politico nel mondo omerico è di tipo aristocratico, con un re a capo di un popolo obbediente. Le classi sociali sono più articolate nell'Odissea dove troviamo un mondo che somiglia molto a quello feudale fatto di corti principesche, con feste, tornei, menestrelli, musica. Accanto al sovrano esiste un'aristocrazia potente e una fervida attività  dei popolani, che già  possiedono una propria individualità  e una certa dignità . In economia, accanto all'agricoltura e alla pastorizia, fioriscono, specie nell'Odissea, il commercio, la navigazione e la libera impresa artigiana.
Indipendentemente dal grande valore documentario di uno stadio primario della civiltà , i poemi omerici si distinguono come la massima voce poetica del mondo greco. L'umanità  vi appare nelle sue permanenti manifestazioni spirituali e fisiche, in atteggiamenti che tipizzano, almeno, l'uomo europeo. Atti e cose vi appaiono nella loro forma più elementare, immediata e perenne. Tragedia, commedia, oratoria, filosofia, lirica, narrativa, tutte le forme d'arte (corrispondenti a diversi atteggiamenti della vita) vi sono presenti e vi concorrono alla rappresentazione completa del mondo. Un'unità  profonda di sentimento, epicamente oggettivo eppure sempre palpitante, vigile a cogliere ogni valore etico e poetico, pervade i due poemi, pur così variegati e in parte diversi.
L'Iliade è soprattutto il canto del valore e del dolore; ha per centro ideale un personaggio come Achille, eroico e infelice, e si muove tra immani carneficine e morti penosissime. L'Odissea, invece, è dominata da un protagonista tenace e intelligente; la libera avventura e l'abbandono fantastico sono prevalenti sulla concentrazione sentimentale, che fa invece la grandezza impareggiabile dell'Iliade. Per questo i due poemi divennero la Bibbia del popolo greco.
Lo studio approfondito dei due poemi omerici ebbe inizio con l'età  alessandrina e con esso nacque pure la cosiddetta "questione omerica". Mentre si andavano apprestando le prime edizioni critiche dei poemi, si cominciò a dubitare che tutto il corpo delle opere, tradizionalmente attribuito a Omero, fosse autentico. Senone ed Ellanico (i chorizontes o "separanti") giunsero già  a sostenere che i due poemi principali fossero opera di due autori diversi. Ad essi ribatteva Aristarco di Samotracia, imponendo con la sua autorità  la tesi unitaria: qualche secolo più tardi l'anonimo autore del trattato "Sul sublime" assegnava le due opere alla gioventù (Iliade) e alla vecchiaia (Odissea) del medesimo autore.
La questione riprese in età  moderna. Alcuni studiosi hanno negato l'esistenza di un poeta chiamato Omero, perché qanno ritenuto che era impossibile tramandare poemi così lunghi quando mancava ancora la scrittura, per altri Omero era solo un personaggio fittizio, simbolo di un'epoca eroica e fantastica espressa in canti di diversi autori.
Le scoperte archeologiche della seconda metà  del secolo e l'abbandono dell'idealismo romantico hanno rafforzato la posizione dei "neo-unitari", sostenitori di due diversi poeti che avrebbero rielaborato nei due poemi tre altri poemi e canti epici preesistenti; assai diverse tra loro per spirito e contenuti, l'Iliade sarebbe anteriore di una generazione all'Odissea, o viceversa si riconosce nella prima un influsso della seconda.

editus ab


Torna a Nonno di Panopoli oppure Vai a Partenio di Nicea